Attirare l’attenzione degli investitori non professionali è fondamentale per il successo di una campagna di equity crowdfunding. Si tratta di un compito tutt’altro che facile, perché la crowd, la folla degli investitori, è per forza di cose disomogenea e abbraccia persone anche molto diverse tra loro.
Le motivazioni che spingono all’investimento, però, possono essere analizzate e inquadrate riuscendo così a capire cosa si aspettano gli investitori e cosa invece va evitato nella relazione con essi.
Ne abbiamo parlato con Giancarlo Vergine, esperto di crowdfunding che ha accumulato una grande esperienza in materia di investimenti dalla folla. Anche perché ha lavorato per diversi anni come onboarding manager di una nota piattaforma, seguendo oltre 160 campagne di raccolta.
Non tutte le startup sono “adatte” al crowdfunding
«Il punto di partenza è sempre la startup e la sua appetibilità – ha spiegato Giancarlo Vergine–. Progetti di business molto interessanti e validi, che hanno superato tutti i controlli qualitativi della piattaforma e anche quelli quantitativi che riguardano gli aspetti finanziari, possono non essere adatti a raccogliere capitali attraverso l’equity crowdfunding. Questo perché hanno delle caratteristiche che rendono difficile attirare l’attenzione degli investitori non professionali». Ci viene in mente, ad esempio, una startup che operava in ambito medico e il cui prodotto era molto difficile da spiegare al grande pubblico.
Mentre le aspettative dei Ventures Capitalist e dei business angel sono più facili da prevedere, quelle degli investitori che scelgono di partecipare (oppure no) a una campagna di equity crowdfunding sono molto più sfuggenti. Questo accade perché i primi, quando cercano un investimento interessante per loro, controllano a grandi linee sempre gli stessi aspetti del progetto di business, all’interno del mercato di riferimento. I secondi si muovono in modo differente.
Tenendo presente questo elemento di grande variabilità all’interno del mondo degli investitori crowd, possiamo però identificare due grandi famiglie di investitori, come ci spiega Giancarlo Vergine:
- gli investitori istintivi
- gli investitori riflessivi
Cerchiamo allora di conoscerli meglio e di capire cosa si aspettano da un progetto in crowdfunding.
Quali progetti attirano l’attenzione degli investitori istintivi
Lo strumento dell’equity crowdfunding nasce (anche) per democratizzare l’accesso al mondo degli investimenti ad alto rischio. Dà a tutti l’opportunità di entrare a far parte di progetti innovativi, con chip di ingresso nell’affare davvero ridotti, che partono da 250 a 500 euro. Invece per entrare in un fondo di investimenti la cifra minima da mettere è sempre più alta.
Questo vuol dire che chi investe tramite piattaforma di equity crowdfunding può avere una conoscenza molto basica del mondo degli investimenti e delle startup. Anche se per essere considerato in grado di partecipare alla campagna deve avere la consapevolezza che si tratta di un investimento rischioso.
L’investitore che sceglie “di pancia” di dare il proprio contributo finanziario e diventare socio di una startup, spesso è interessato soprattutto all’ambito in cui la startup opera. Quindi si innamora dell’idea. Oppure, più spesso, delle persone che la portano avanti. Magari gli piace il settore o ancora vuole contribuire a un progetto imprenditoriale che abbia anche un valore sociale.
«L’attenzione verso i progetti che hanno un social impact è in forte crescita – ha sottolineato Giancarlo Vergine –. Parliamo ad esempio di business sostenibili dal punto di vista ambientale. O che puntano a migliorare la vita lavorativa delle persone o lo stato di benessere delle comunità. Per attirare l’attenzione degli investitori quindi è fondamentale la scelta intelligente dello storytelling.
A dirlo non siamo solo noi professionisti del crowdfunding italiano, che è un mercato relativamente giovane, ma anche i “guru” della Silicon Valley. Per citare uno dei partner di Sequoia Capital, tra i fondi di VC più importanti al mondo, Douglas Leone, persino i professionisti non badano solo ai numeri. Soprattutto quando si tratta di investire in progetti in fase pre seed e seed. Il financial model è importante ma quello che attrae di più, molto spesso, è un team valido abbinato a uno storytelling efficace». Per chiudere una campagna con successo bisogna capire come raccontare i punti di forza della startup o della PMI.
Quali progetti attirano l’attenzione degli investitori riflessivi
Accanto agli investitori istintivi ci sono poi quelli riflessivi, che analizzano attentamente il business plan, gli obiettivi di crescita e le previsioni per una potenziale exit. Sono forse una minoranza, ma non per questo bisogna trascurarli.
Ecco perché è importante pubblicare sulla piattaforma un set di informazioni e documenti dettagliati sul progetto in raccolta. Detto questo, è doveroso sottolineare che molte startup in fase iniziale non hanno tanti numeri reali da presentare. I dati sul business plan di una startup early stage sono spesso “modificabili”. Si tratta cioè di assunzioni che i founder e i loro consulenti fanno sulla base del mercato di riferimento, delle previsioni di crescita ipotetiche e di modelli matematici.
Per la stessa azienda consulenti diversi potrebbero tranquillamente scrivere business plan diversi perché sono più o meno “cauti”, senza essere in errore.
L’importanza dello storytelling per attirare l’attenzione degli investitori
Il consiglio forse più importante di Giancarlo Vergine per catturare l’attenzione degli investitori si basa proprio sulla comprensione di quanto sia importante lo storytelling. I founder della startup dovrebbero allenarsi a raccontare la storia e le caratteristiche del proprio progetto di business. Sia con l’aiuto degli onboarding manager della piattaforma sia in autonomia. Come? Studiando a fondo l’idea e imparando a raccontarla nel modo più efficace possibile.
«Non è fondamentale tanto focalizzarsi sul prodotto o sul servizio offerto – spiega Vergine – ma piuttosto imparare a raccontare le proprie skills e la propria esperienza e conoscere a fondo il mercato in cui si opera. La cosa più importante per gli investitori non è la proposta commerciale in sé ma piuttosto i valori dell’azienda e delle persone che la compongono. Vogliono vedere che i founder credono nel progetto e che hanno le competenze per portarlo avanti».
Solitamente un investitore che sceglie di dare il proprio chip a un progetto sosta sulla pagina di un’azienda in raccolta meno di tre minuti. È la storia dell’azienda che cattura questi investitori. Sono le prime righe del progetto quelle che attirano l’attenzione, quindi bisogna trovare il modo di essere incisivi e immediati. Da questo punto di vista un video ben realizzato può fare la differenza.
Un circolo virtuoso
Come abbiamo visto, una startup o una PMI impegnata a realizzare un business sostenibile, che valorizza il territorio in cui opera, crea posti di lavoro e persegue l’intento di migliorare la società, anche se non ha grandi numeri, può attirare l’attenzione degli investitori in numero sufficiente.
Gli investitori seriali, quelli più avvezzi a guardare con attenzione i dati finanziari, possono essere a loro volta attratti da un’azienda che ha ancora poche frecce “numeriche” nel suo arco, quando vedono che altri hanno investito, perché significa che i founder della società hanno la capacità di reperire fondi e di convincere le persone a credere in loro. Persone che da investitori potrebbero diventare clienti e viceversa.
Le data room che i portali di equity crowdfunding predispongono per raccontare i numeri e le caratteristiche del singolo progetto, dove i founder caricano bilanci, business plan eccetera, sono uno strumento importante per arrivare a tutti questi investitori più professionali, anche se non sono l’elemento che converte all’investimento.
Talvolta, dalla sezione Q&A che i portali mettono a disposizione degli investitori potenziali per fare domande specifiche ai founder delle società in raccolta, si capisce che chi sta riflettendo sull’investimento ha studiato a fondo la documentazione.
Tutto questo lo diciamo tenendo comunque ben presente che gli investitori più esperti e con un’indole più analitica non sono necessariamente estranei all’aspetto emozionale dell’investimento.
Sono banditi i tecnicismi
«Ho un altro consiglio importante per i founder che si apprestano a raccogliere fondi tramite lo strumento dell’equity crowdfunding e hanno bisogno di attirare gli investitori. I tecnicismi sono banditi dal racconto di quello che fa la startup, perché usando parole incomprensibili ai più si perde immediatamente l’attenzione dei potenziali investitori» afferma Vergine.
Se pensiamo al fatto che, in media, le persone si fermano circa solo tre minuti sulla pagina del progetto, imbattendosi in parole che non capiscono penseranno che si tratta di un business di nicchia, troppo difficile da capire, e abbandoneranno l’idea di investire.
Spesso, le campagne che hanno maggiore successo sono proprio quelle più facili da comprendere, relative a startup che operano in ambiti noti alla maggioranza delle persone e in mercati “tradizionali”. Si possono però usare nello storytelling termini tecnici se sono già sufficientemente diffusi e usati dai media.
Le cose cambiano quando, soprattutto nelle fasi più avanzate della vita dell’azienda, si sceglie di fare un aumento di capitale che coinvolge solo investitori professionali, che conoscono il settore e hanno le competenze per comprendere i tecnicismi.
Comunicare la propria idea di exit
Gli investitori che partecipano a una campagna di equity crowdfunding sanno che potrebbero non ottenere nulla in cambio e perdere quanto hanno investito. Ma se scelgono di metterci i propri soldi lo fanno perché credono nel progetto, di conseguenza vogliono sempre sapere quale potrebbe essere l’exit.
Può trattarsi dell’acquisizione da parte di una grossa azienda o della quotazione in borsa. Nello storytelling che riguarda la startup va sempre inserita una parte che riguarda lo sviluppo futuro del business e la possibilità per gli investitori di vedere concretizzato un ritorno interessante.
Bisogna metterci la faccia
Quando il mercato dell’equity crowdfunding stava muovendo i suoi primi passi in Italia, ancora non si conoscevano le best practice per una campagna di successo. Quindi è capitato che alcuni investitori aprissero il capitale per far crescere la propria idea di business senza presentarsi alla folla degli investitori, senza cioè mettersi in gioco. Quelle campagne non sono riuscite quasi mai a raccogliere l’obiettivo minimo. Pur avendo le caratteristiche per attirare l’attenzione degli investitori.
Oggi sappiamo che per portare a termine con successo un’operazione di equity crowdfunding non basta pubblicare l’idea sul portale e annunciare la raccolta. Durante il periodo che precede la campagna e i due mesi della raccolta, i founder devono metterci la faccia. Apparire in pubblico, comunicare con i potenziali investitori, attivarsi per costruire l’immagine dell’azienda, curare la propria immagine personale e rispondere a tutte le domande che verranno loro poste.
Coltivare la relazione con gli investitori
Un ultimo consiglio. Abbiamo raccontato quello che si aspettano gli investitori dai founder in raccolta. Ma c’è invece qualcosa che gli imprenditori dovrebbero sempre evitare per non rischiare di perdere la fiducia degli investitori? Gli investitori che mettono dei soldi in un progetto sentono di farne parte. Quindi è importante continuare a dialogare con loro e non dimenticarli una volta chiusa la campagna.
Inoltre, nello storytelling che si sceglie di fare, è fondamentale basarsi sempre sui fatti. Mai lasciarsi prendere la mano raccontando proiezioni fantasiose, conclude Giancarlo Vergine.
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